Udienze e grida a Tutti i colori del giallo


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MessaggioInviato: Mer 22 Giu, 2005 8:40 pm    Oggetto: Udienze e grida a Tutti i colori del giallo   

Udienze e grida a Tutti i colori del giallo

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Galaad
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MessaggioInviato: Mer 22 Giu, 2005 8:40 pm    Oggetto: Il grido della catalpa   

Il grido della catalpa di Giuse Lazzari è un romanzo di agevole lettura, che fila via liscio fino alla fine. Basta avere l’accortezza di fissare nella mente i nomi dei personaggi sin dalle prime pagine. Non si infrange alcun segreto dicendo che il morto è un Giamaicano deceduto non per morte naturale. Quindi si comprende subito che tutto il racconto sarà un graduale e lento disvelamento delle situazioni e delle condizioni che hanno indotto qualcuno ad uccidere.
E’ ovviamente un fatto eclatante, straordinario se rapportato al piccolo contesto provinciale o anzi, alla piccola comunità paesana in cui gli eventi si svolgono. Tutti i personaggi presenti al funerale vengono messi a fuoco e contestualizzati uno ad uno, o meglio, dato che l’autrice attinge alla tecnica del monologo interiore, sono essi stessi che si aprono e liberano i propri pensieri riflettendo sull’accaduto e, più in generale, sulle loro piccole vite sconvolte dall’arrivo di un estraneo, uno straniero peraltro accolto nella comunità locale con diffusa e crescente simpatia, almeno all’apparenza.
Non direi, come si legge in quarta di copertina, che questo lavoro sia incentrato su uno scontro di culture, di formazioni e di appartenenze diverse. A mio parere, dimenticando per un attimo che il perno attorno a cui tutto ruota è un fatto tragico, questo “grido della catalpa” risulta uno spaccato di costume, della quotidianità, da cui emergono tanti piccoli vizi ed anche qualche virtù, di gente assolutamente normale o, se si vuole, diabolicamente normale, visto che nutre tante serpi in seno e sarà in grado di metabolizzare anche il delitto, così come ha metabolizzato momenti storici importanti e di portata drammaticamente vasta, come la crisi dell’Olivetti. Non va dimenticato infatti, che l’ambiente di riferimento è la cittadina di Ivrea:
Vi è un luogo, un posto fisicamente specifico, dove i singoli spazi dell’interiorità trovano definizione ovvero, dove tutti gli intrecci emotivi e passionali della comunità sembrano prendere corpo, fluire e dipanarsi: la bottega di un’antiquaria. Giuse Lazzari secondo me deve avere osservato per anni, nell’andirivieni dei frequentatori del suo negozio, visi, espressioni, comportamenti che avrà annotato diligentemente su un quaderno di appunti da utilizzare in seguito. Né mancano i riferimenti ad altri soggiorni, a viaggi ed esperienze.
Un altro punto da sottolineare è questa classificazione del romanzo come giallo: è infatti pubblicato in una serie dedicata al thriller. Un brivido strisciante indubbiamente c’è, come la voglia di arrivare alla fine per scoprire chi è l’assassino; direi però, che più che un giallo è un romanzo di costume, una foto di gruppo e, aggiungerei, una foto di gruppo in un esterno visto che il paesaggio di contorno svolge un ruolo indubbio, quasi calmierante delle bassezze, delle invidie e delle piccinerie che coinvolgono i protagonisti. A questo riguardo - intendo il paesaggio, l’ambiente naturale - merita forse sottolineare che le descrizioni risultano attente e puntuali. L’autrice conosce bene ed osserva con acutezza il nuovo ambiente dove si è trasferita molti anni fa, se ne sente parte integrante affettivamente attaccata: ne ama i colori le sfumature e le atmosfere in ogni stagione. Queste qualità sensibili si ritrovano piacevolmente nel testo come un pacato intercalare nel flusso della narrazione.
Non aggiungo nulla sulla struttura a spirale dell’opera - come si legge in copertina - anche se io avrei detto circolare più che a spirale. Affermo questo perché la spirale è un percorso che rimane aperto mentre la circolarità prevede uno sviluppo fenomenologico: un inizio, una fine, un nuovo inizio ed una nuova fine senza una definitiva conclusione.
Giuse Lazzari infatti penetra nella mente di ognuno dei suoi personaggi ne mette a nudo emozioni e aspettative servendosi di questa struttura circolare che, incessantemente, si allontana e ritorna alla scena iniziale del cimitero affollato. In conclusione “il grido dello catalpa” è un romanzo originale che sorprende, rivelando una finzione stratificata. Una scrittura elegante rende molto piacevole la lettura. Anche il finale si avvale di un artifizio ben congegnato.
Un approfondimento merita il dipinto che appare in copertina.
Perché è stata scelta un’opera di Felice Casorati? Forse perché l’artista novarese, accostatosi nel 1918 al movimento della metafisica, si esprime come l’autrice in composizioni eleganti e di rigore formale inquadrandole in un preciso spazio prospettico e mettendone a nudo le più celate inquietudini. Pochi tratti delineano la figura di Maria Anna Lisi protagonista del dipinto. Nella stanza tutto è immobile, silenzioso, ma questa calma comunica un senso di vaga tristezza sottolineata dal freddo cromatismo e dal taglio ravvicinato dell’immagine che rende più evidente la trasfigurazione della donna che, gradualmente, perde la sua umanità e si configura come volto statico dalle occhiaie vuote. E’ il mistero della vita che viene rappresentato, quello stesso che anche Giuse Lazzari fa lampeggiare attraverso il segreto di una vita, quella del protagonista del romanzo. La prospettiva del pavimento infine, conduce lo sguardo verso l’ingresso della stanza, dove ancora non si scorge nessuno, ma dove, di qui a poco, apparirà qualcuno per aiutarci a svelare il mistero.
Rimane ancora una curiosità: perché la scelta di questo titolo?
Nella antica Cina la catalpa era l’albero corrispondente al Sud; l’altare del sole doveva quindi essere posto presso una catalpa.
Gli indiani legavano talvolta i loro destini ad un albero che veneravano come se contenesse le forze della vita. I guerrieri prima di divenire tali pregavano sotto una catalpa. Le foglie di questo albero venivano usate dagli uomini della magia per curare le lacerazioni prodotte dagli artigli infissi nel petto per sollevare verso il sole il futuro guerriero che doveva rimanere esposto ai suoi raggi per un’intera giornata (Giuramento del sole). La leggenda parla del grido disperato del grido della catalpa quando qualcuno non superava questo rito di iniziazione.
Ma forse più che ad un preciso riferimento questo nome (catalpa) è rimasto impresso nella mente dell’autrice come evocazione di qualche ancestrale ricordo o di qualche inconscia emozione.



Galaad
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MessaggioInviato: Mer 22 Giu, 2005 8:55 pm    Oggetto: Re: Il grido della catalpa   

Galaad ha scritto:
Il grido della catalpa di Giuse Lazzari è un romanzo di agevole lettura, che fila via liscio fino alla fine. Basta avere l’accortezza di fissare nella mente i nomi dei personaggi sin dalle prime pagine. Non si infrange alcun segreto dicendo che il morto è un Giamaicano deceduto non per morte naturale. Quindi si comprende subito che tutto il racconto sarà un graduale e lento disvelamento delle situazioni e delle condizioni che hanno indotto qualcuno ad uccidere.
E’ ovviamente un fatto eclatante, straordinario se rapportato al piccolo contesto provinciale o anzi, alla piccola comunità paesana in cui gli eventi si svolgono. Tutti i personaggi presenti al funerale vengono messi a fuoco e contestualizzati uno ad uno, o meglio, dato che l’autrice attinge alla tecnica del monologo interiore, sono essi stessi che si aprono e liberano i propri pensieri riflettendo sull’accaduto e, più in generale, sulle loro piccole vite sconvolte dall’arrivo di un estraneo, uno straniero peraltro accolto nella comunità locale con diffusa e crescente simpatia, almeno all’apparenza.
Non direi, come si legge in quarta di copertina, che questo lavoro sia incentrato su uno scontro di culture, di formazioni e di appartenenze diverse. A mio parere, dimenticando per un attimo che il perno attorno a cui tutto ruota è un fatto tragico, questo “grido della catalpa” risulta uno spaccato di costume, della quotidianità, da cui emergono tanti piccoli vizi ed anche qualche virtù, di gente assolutamente normale o, se si vuole, diabolicamente normale, visto che nutre tante serpi in seno e sarà in grado di metabolizzare anche il delitto, così come ha metabolizzato momenti storici importanti e di portata drammaticamente vasta, come la crisi dell’Olivetti. Non va dimenticato infatti, che l’ambiente di riferimento è la cittadina di Ivrea:
Vi è un luogo, un posto fisicamente specifico, dove i singoli spazi dell’interiorità trovano definizione ovvero, dove tutti gli intrecci emotivi e passionali della comunità sembrano prendere corpo, fluire e dipanarsi: la bottega di un’antiquaria. Giuse Lazzari secondo me deve avere osservato per anni, nell’andirivieni dei frequentatori del suo negozio, visi, espressioni, comportamenti che avrà annotato diligentemente su un quaderno di appunti da utilizzare in seguito. Né mancano i riferimenti ad altri soggiorni, a viaggi ed esperienze.
Un altro punto da sottolineare è questa classificazione del romanzo come giallo: è infatti pubblicato in una serie dedicata al thriller. Un brivido strisciante indubbiamente c’è, come la voglia di arrivare alla fine per scoprire chi è l’assassino; direi però, che più che un giallo è un romanzo di costume, una foto di gruppo e, aggiungerei, una foto di gruppo in un esterno visto che il paesaggio di contorno svolge un ruolo indubbio, quasi calmierante delle bassezze, delle invidie e delle piccinerie che coinvolgono i protagonisti. A questo riguardo - intendo il paesaggio, l’ambiente naturale - merita forse sottolineare che le descrizioni risultano attente e puntuali. L’autrice conosce bene ed osserva con acutezza il nuovo ambiente dove si è trasferita molti anni fa, se ne sente parte integrante affettivamente attaccata: ne ama i colori le sfumature e le atmosfere in ogni stagione. Queste qualità sensibili si ritrovano piacevolmente nel testo come un pacato intercalare nel flusso della narrazione.
Non aggiungo nulla sulla struttura a spirale dell’opera - come si legge in copertina - anche se io avrei detto circolare più che a spirale. Affermo questo perché la spirale è un percorso che rimane aperto mentre la circolarità prevede uno sviluppo fenomenologico: un inizio, una fine, un nuovo inizio ed una nuova fine senza una definitiva conclusione.
Giuse Lazzari infatti penetra nella mente di ognuno dei suoi personaggi ne mette a nudo emozioni e aspettative servendosi di questa struttura circolare che, incessantemente, si allontana e ritorna alla scena iniziale del cimitero affollato. In conclusione “il grido dello catalpa” è un romanzo originale che sorprende, rivelando una finzione stratificata. Una scrittura elegante rende molto piacevole la lettura. Anche il finale si avvale di un artifizio ben congegnato.
Un approfondimento merita il dipinto che appare in copertina.
Perché è stata scelta un’opera di Felice Casorati? Forse perché l’artista novarese, accostatosi nel 1918 al movimento della metafisica, si esprime come l’autrice in composizioni eleganti e di rigore formale inquadrandole in un preciso spazio prospettico e mettendone a nudo le più celate inquietudini. Pochi tratti delineano la figura di Maria Anna Lisi protagonista del dipinto. Nella stanza tutto è immobile, silenzioso, ma questa calma comunica un senso di vaga tristezza sottolineata dal freddo cromatismo e dal taglio ravvicinato dell’immagine che rende più evidente la trasfigurazione della donna che, gradualmente, perde la sua umanità e si configura come volto statico dalle occhiaie vuote. E’ il mistero della vita che viene rappresentato, quello stesso che anche Giuse Lazzari fa lampeggiare attraverso il segreto di una vita, quella del protagonista del romanzo. La prospettiva del pavimento infine, conduce lo sguardo verso l’ingresso della stanza, dove ancora non si scorge nessuno, ma dove, di qui a poco, apparirà qualcuno per aiutarci a svelare il mistero.
Rimane ancora una curiosità: perché la scelta di questo titolo?
Nella antica Cina la catalpa era l’albero corrispondente al Sud; l’altare del sole doveva quindi essere posto presso una catalpa.
Gli indiani legavano talvolta i loro destini ad un albero che veneravano come se contenesse le forze della vita. I guerrieri prima di divenire tali pregavano sotto una catalpa. Le foglie di questo albero venivano usate dagli uomini della magia per curare le lacerazioni prodotte dagli artigli infissi nel petto per sollevare verso il sole il futuro guerriero che doveva rimanere esposto ai suoi raggi per un’intera giornata (Giuramento del sole). La leggenda parla del grido disperato del grido della catalpa quando qualcuno non superava questo rito di iniziazione.
Ma forse più che ad un preciso riferimento questo nome (catalpa) è rimasto impresso nella mente dell’autrice come evocazione di qualche ancestrale ricordo o di qualche inconscia emozione.

Giuseppe Raffaelli


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