Faccio un esempio ricorrendo all'altro mio grande amore letterario: Emilio Salgari. In vita (e anche dopo) venne snobbato dalla critica, avversato dagli educatori, ghettizzto nel limbo della paraletteratura o, forse peggio, della letteratura per ragazzi. Poi, negli ultimi 20 anni, ecco un fiorire di disinvolte celebrazioni, audaci accostamenti, sostanziali travisamenti (c'è chi è arrivato a dire che era un verde ante litteram o un ideale fiancheggiatore dei moderni guerriglieri anticapitalisti). Non credo che per rivalutare un autore, un genere, un'opera, automaticamente occorra farne un modello estetico per le generazioni a venire.
Il poliziottesco degli anni Settanta oscilla tra il buon artigianato e il dozzinale prodotto industriale, era indubbiamente molto popolare, è quasi scomparso alla fine del decennio travolto dalla crisi del cinema italiano e dalla concorrenza della "fiction" televisiva.
Il poliziesco letterario coevo è partito da livelli letterari medio-alti (Sciascia, Soldati, Chiara) e si è imposto grazie al robusto artigianato di Scerbanenco; poi ha sfornato talenti individuali anche notevoli (Anselmi, Macchiavelli, Russo, Olivieri, Fruttero & Lucentini) che però non hanno fatto, in senso tecnico, scuola.
I giallisti o noiristi di oggi hanno una chiara (a volte narcisistica) consapevolezza dei propri mezzi, sanno utilizzare vari registri narrativi, utilizzano diversi media, conoscono a fondo il mercato e le sue trappole.
In questo hanno preso il meglio sia dell'esperienza poliziottesca (ripeto: interessante, ma dignitosa e onesta nel migliore dei casi) che di quella letteraria: ma non vedo in giro capolavori assoluti.
E non perché i capolavori non possano abitare il nero, il giallo o il rosa: manca forse un contenitore editoriale adatto che svolga,a livello più alto, la stessa funzione che ha avuto "Il Giallo Mondadori" per la produzione media da edicola.
Ho parlato troppo?
A presto
M. |